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Calvi, chi era e perchè era soprannominato il banchiere di Dio

(Adnkronos) – Su un'impalcatura sotto al ponte Blackfriars, sul greto del Tamigi di Londra, penzola il corpo di un uomo di 60 anni. Le mani sono legate dietro la schiena e nelle tasche dell’abito, oltre a un passaporto falso, ci 16mila dollari e dei mattoni. È Roberto Calvi, presidente del banco Ambrosiano di Milano, una delle principali banche private cattoliche, al centro di una bancarotta considerata uno dei più gravi scandali finanziari italiani che coinvolse la criminalità organizzata, la loggia massonica P2, parti del sistema politico e del Vaticano. Calvi era soprannominato 'Il banchiere di Dio' per i suoi stretti legami con l'Istituto per le Opere di Religione (Ior), la banca del Vaticano, maggiore azionista dell'Ambrosiano. Le circostanze della sua morte restano avvolte nel mistero: dopo la prima frettolosa sentenza che parlava di suicidio, venne indicata come un omicidio i cui autori sono ancora oggi ignoti. Ma come è finito Roberto Calvi sotto il ponte londinese? La sua storia, che viene raccontata nel podcast 'Il banchiere di Dio', disponibile su tutte le piattaforme audio (Spotify, Amazon Music, Apple Podcast, ecc) in otto puntate firmate da Nicolò Majnoni, inizia nel 1947, quando venne assunto come impiegato dal Banco Ambrosiano grazie ai buoni rapporti del padre con uno dei dirigenti della banca, diventando il pupillo di Alessandro Canesi, futuro presidente dell’istituto. Il Banco era una banca privata strettamente legata allo Ior, la banca vaticana. Lavorando nel settore esteri della banca, Calvi acquisisce una notevole esperienza nell'ambito dei paradisi fiscali. Nel 1958 divenne assistente personale di Canesi. Nel 1960, con la riorganizzazione del settore esteri, viene nominato responsabile per le operazioni di carattere finanziario. Nel 1968 conosce Michele Sindona, divenendone socio in affari e nel 1975, tramite Sindona, conosce Licio Gelli e Umberto Ortolani, che lo fanno entrare nella loggia massonica P2: il suo numero di tessera è il 0519-A. Nel 1971 Calvi diventa direttore generale del Banco Ambrosiano, vicepresidente nel 1974 e presidente nel 1975.  La consacrazione nel 'salotto buono della finanza' si concretizza con il suo ingresso nel cda della Bocconi, come vicepresidente di Giovanni Spadolini. Risalgono a questo periodo (1979-1982) donazioni di centinaia di milioni di lire del Banco Ambrosiano, per mezzo di sue controllate (Banca Cattolica del Veneto e Credito Varesino), all'università. Tali rapporti con l'ateneo suscitano polemiche e un'interrogazione parlamentare da parte dei Radicali nel 1982. Nel 1978 gli ispettori della Banca d’Italia iniziano a indagare sulle operazioni del Banco Ambrosiano. Insieme all’arcivescovo Paul Marcinkus, presidente dello Ior Calvi aveva avviato una serie di società fantasma nei paradisi fiscali come il Lussemburgo, Panama o il Liechtenstein finanziate con centinaia di miliardi di lire dalle consociate estere del Banco Ambrosiano, che lo portarono in pochi anni in crisi di liquidità.  Il 9 novembre 1977 vengono affissi nel centro di Milano numerosi manifesti in cui si accusa Calvi di diversi reati nella gestione del Banco Ambrosiano. L'iniziativa si rivela una manovra di Sindona, che sperava così di ottenere denaro da Calvi per portare a termine il salvataggio delle sue banche. Dopo la comparsa dei manifesti, alcuni ispettori della Banca d'Italia guidati dal dottor Giulio Padalino vengono inviati dall'allora governatore Paolo Baffi e dal vice direttore generale Mario Sarcinelli per verificare la veridicità delle accuse. In seguito il Banco si trova ad affrontare una prima crisi di liquidità che si risolve grazie a finanziamenti della Bnl e dell'Eni. Nell'aprile 1981, sempre con la mediazione di Gelli e Ortolani, Calvi ottenne il 40% delle quote del Gruppo Rizzoli (che controllava il 'Corriere della Sera' e altri importanti testate nazionali) in cambio della ricapitalizzazione della società finanziata dal Banco Ambrosiano. Nel marzo 1981, con la scoperta delle liste degli appartenenti alla loggia P2, Calvi rimane senza protezioni e cerca l'aiuto del Vaticano e dello Ior, ma il 21 maggio viene arrestato su ordine del magistrato Gerardo D'Ambrosio per esportazione illecita di valuta, processato e condannato a 4 anni di reclusione. In carcere, Calvi, in preda a una crisi depressiva, tenta il suicidio ingerendo barbiturici. Il 5 giugno 1982, scrive al papa e poi, in attesa del processo di appello, Calvi viene messo in libertà. Nel frattempo il debito delle società off shore controllate dallo Ior nei confronti del Banco Ambrosiano ammonta a 1,2 miliardi di dollari. Calvi si rivolge a un faccendiere, Flavio Carboni, legato al boss mafioso Pippo Calò e ad alcuni esponenti della banda della Magliana. La guida della banca viene assunta dal vice presidente Roberto Rosone, che blocca le linee di credito di Carboni. Il 27 aprile 1982 Rosone scampa a un attentato in via Oldofredi, a Milano, ma resta ferito alle gambe. L’attentatore viene colpito a morte da una guardia giurata e identificato come Danilo Abbruciati, boss della banda della Magliana. Poche settimane dopo Calvi abbandona l’Italia. Prima va a Roma dove incontra Carboni, poi a Venezia, Trieste e in Jugoslavia. Incontra di nuovo Carboni al confine tra Austria e Svizzera e il 15 giugno parte per Londra, dove viene trovato morto, tre giorni dopo il suo arrivo. Il 17 giugno, si uccide la sua segretaria, Teresa Graziella Corrocher, gettandosi dal quarto piano della sede del Banco Ambrosiano. Quattro giorni dopo la morte del banchiere, il ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, su proposta della Banca d'Italia, dispone lo scioglimento degli organi amministrativi del Banco Ambrosiano e il 6 agosto successivo la banca venne messa in liquidazione.  In un primo tempo l’inchiesta inglese viene archiviata e come causa della morte indicato il suicidio. Una seconda inchiesta nel Regno Unito, termina senza una conclusione. Anche in Italia la prima inchiesta archivia la morte di Roberto Calvi come suicidio. Il processo per omicidio volontario si apre sulla base delle dichiarazioni del pentito Francesco Marino Mannoia, che ai giudici racconta di come Calvi sarebbe stato vittima di una vendetta della mafia di Corleone. Secondo la testimonianza il banchiere avrebbe riciclato denaro sporco con lo Ior e il Banco Ambrosiano per conto del boss Pippo Calò, che lo ha fatto uccidere perché Calvi si sarebbe impossessato di una grossa somma di denaro. Sul banco degli imputati finiscono Calò, Carboni, ed Ernesto Diotallevi. Ma anche Manuela Kleinszig, amica di Carboni e Silvano Vittor. La sentenza di primo grado stabilsce che "l’ipotesi del suicidio è da considerare assurda" e quella d’appello che "Calvi è stato ammazzato, non si è ucciso". A novembre 2016 viene archiviato inoltre il procedimento che tra gli altri vedeva indagato Licio Gelli. —finanzawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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