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Tumori, Lazio, esperti: “Per cancro prostata diagnosi precoce, innovazione e sostenibilità”

(Adnkronos) – Una rete oncologica più efficace e vicina ai cittadini, puntando su nuovi programmi di screening, collaborazione con i medici di medicina generale e sinergia tra professionisti per garantire cure tempestive e personalizzate. Ma anche innovazione, formazione continua e riduzione delle tossicità dei trattamenti, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti e assicurare uguali opportunità di cura in tutto il territorio. Sono i contenuti condivisi dagli esperti che hanno partecipato al tavolo clinico-istituzionale ‘Oncologia nel Lazio. Diagnosi precoce, innovazione terapeutica e sostenibilità: migliorare gli outcome di cura’, promosso da Dico Sanità, che si è svolto a Roma. Istituzioni regionali, clinici, farmacisti e rappresentanti dei pazienti si sono confrontati con l’obiettivo di favorire l’accesso precoce alla diagnosi e alle cure oncologiche, valorizzare l’appropriatezza prescrittiva e garantire sostenibilità economica e percorsi di cura continuativi. 

I numeri confermano l’impatto crescente del cancro sulla salute pubblica. Nel Lazio si registrano ogni anno oltre 32mila nuovi casi di tumore e 3mila sono di cancro alla prostata, pari al 9,4% di tutte le neoplasie della regione, come registra il documento ufficiale ‘Pdta-Neoplasia prostatica’ della Regione Lazio (delibera n. 1273 del 10 luglio 2025, ASL Roma 5). Proprio alla neoplasia più frequente tra gli uomini in Italia, con 40mila nuovi casi diagnosticati ogni anno, è stata dedicata particolare attenzione. Attualmente i tassi di sopravvivenza a 5 anni superano ormai il 90%, ma il cancro della prostata resta una sfida significativa: sono oltre 8.200 decessi i decessi annuali e i nuovi casi sono destinati a crescere dell’1% all’anno fino al 2040.  

“Le principali innovazioni terapeutiche nel tumore della prostata stanno cambiando la prospettiva clinica dei pazienti, grazie all’introduzione di farmaci a target molecolare e, più di recente, alla medicina di precisione supportata dall’intelligenza artificiale – spiega Fabio Calabrò, direttore di Oncologia medica 1 dell’Istituto nazionale tumori Regina Elena (Irccs) – L’obiettivo è duplice: individuare i soggetti ad alto rischio e personalizzare il trattamento, evitando over-treatment e garantendo appropriatezza prescrittiva. Questo approccio è indispensabile in un contesto in cui in Italia si registrano oltre mezzo milione di persone con una diagnosi di tumore prostatico. Parallelamente – continua – la costruzione di reti oncologiche regionali e l’attivazione di piattaforme digitali condivise rendono possibile una gestione realmente multidisciplinare, in cui medici di base, specialisti e centri di riferimento collaborano in modo integrato. Questo modello migliora l’accesso alle cure, la sostenibilità del sistema e la qualità di vita dei pazienti, che possono essere seguiti vicino casa quando la condizione clinica lo consente”.  

Tra i principali fattori di rischio per il cancro alla prostata ci sono l’età, la storia familiare, le mutazioni genetiche, la sindrome metabolica, l’obesità, lo stile di vita e l’alimentazione, oltre al fumo e al consumo di alcol. In Italia – ricordano gli esperti – circa il 27% degli uomini adulti sono fumatori e l’11% presenta obesità, tutte condizioni che possono aumentare l’aggressività della malattia. La familiarità gioca un ruolo significativo: circa 1 paziente su 10 sviluppa una forma ereditaria della malattia e tra coloro con carcinoma metastatico il 12% presenta mutazioni ereditarie in geni coinvolti nella riparazione del Dna, in particolare nel gene Brca2.  

“Nel tumore della prostata la vera innovazione è saper unire efficacia, appropriatezza e sostenibilità – sottolinea Bernardo Maria Cesare Rocco, direttore Uoc Clinica Urologica Policlinico universitario Agostino Gemelli, università Cattolica del Sacro Cuore – Lo screening deve essere mirato: rivolto a chi presenta familiarità o rischio genetico, integrando Psa e risonanza magnetica senza contrasto, così da ridurre la mortalità evitando l’over-treatment. E’ tempo di un modello nazionale, equo, che non lasci differenze tra regioni. La qualità delle cure dipende anche dall’organizzazione: interventi complessi nei centri ad alto volume e una rete che colleghi ospedali, medici di base e specialisti. Solo un lavoro multidisciplinare garantisce decisioni più precise e percorsi più rapidi. Dobbiamo adottare una medicina di misura: dal massimo trattamento tollerato al minimo trattamento efficace. E’ questa la chiave per offrire cure di valore ai pazienti e un sistema sanitario davvero sostenibile”.  

Per migliorare gli esiti di cura dei pazienti, l’innovazione terapeutica e tecnologica rappresenta oggi uno strumento fondamentale. L’introduzione di nuove terapie comporta però sfide significative: garantire accesso equo, sostenibilità e appropriatezza clinica richiede strategie mirate, programmi di screening capillari e l’uso di strumenti di telemedicina e digital health. Gli esperti hanno sottolineato l’importanza della diagnosi precoce e della collaborazione tra ospedale e territorio, promuovendo modelli organizzativi integrati, approccio multidisciplinare e personalizzazione delle cure. 

“E’ fondamentale che la rete oncologica centrale dialoghi con il territorio – evidenzia Fabio De Lillo, responsabile Coordinamento Attività strategiche spesa farmaceutica, Regione Lazio – A supporto di questa rete è stata istituita anche una rete delle anatomie patologiche, che consente una valutazione rapida dei casi sospetti di tumore. Un ruolo centrale è svolto inoltre dallo screening oncologico, coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, che permette di intercettare precocemente le formazioni tumorali e di sensibilizzare i cittadini all’importanza della diagnosi preventiva. La rete oncologica, nel suo insieme, opera in modo capillare su tutto il territorio regionale, ma è necessario un crescente coinvolgimento e una maggiore partecipazione da parte dei cittadini”.  

Centrale in questo contesto è il ruolo del medico di medicina generale, protagonista attivo nel percorso oncologico, anche nell’approccio al tumore della prostata, in particolare nel favorire prevenzione e diagnosi precoce, garantire una presa in carico integrata e continua e nel contribuire al superamento della frammentazione dei percorsi assistenziali. Grazie all’uso di strumenti digitali e all’adozione di percorsi condivisi con gli specialisti – rimarcano gli esperti – diventa un vero e proprio costruttore di percorsi di cura, partecipando alla progettazione dei flussi assistenziali e garantendo equità di accesso e qualità delle cure in ogni fase della malattia. 

“La medicina generale non è un anello accessorio della rete oncologica, ma il suo punto di partenza e di continuità – precisa Walter Marrocco, responsabile scientifico Fimmg, Federazione italiana medici di medicina generale – Se vogliamo migliorare davvero gli outcome di cura nel Lazio, dobbiamo costruire una rete che parli un linguaggio comune, che metta il paziente al centro e che riconosca nel medico di famiglia il riferimento costante lungo tutto il percorso di malattia e di vita. E’ questa la sfida che, come Fimmg, siamo pronti ad affrontare, insieme alle istituzioni, agli specialisti e ai pazienti, per un’oncologia più umana, più integrata e più vicina alle persone”.  

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webinfo@adnkronos.com (Web Info)

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