In un contesto segnato dalla persistente crisi economica è sempre più frequente incontrare imprenditori che, seppur con riluttanza, optano per la chiusura della propria attività. Esistono tuttavia alternative alla chiusura dell’azienda che possono essere prese in considerazioni per diverse ragioni: da un lato, evitare l’avvio di procedure complesse come i licenziamenti collettivi, con tutte le relative conseguenze; dall’altro, salvaguardare, per quanto possibile, i posti di lavoro. In questa prospettiva, una delle possibili soluzioni è il trasferimento dell’azienda, oppure di un suo ramo specifico.
Cos’è il trasferimento d’azienda
Partiamo dalla definizione: l’art. 2112 c.c., come modificato dalla L. n. 276/2003, qualifica come trasferimento d’azienda qualsiasi operazione, derivante da cessione contrattuale o fusione, che determini il passaggio della titolarità di un’attività economica organizzata — con o senza scopo di lucro — preesistente al trasferimento e capace di conservare la propria identità. Ciò vale a prescindere dalla forma negoziale o dal provvedimento che ne costituisce il presupposto, includendo anche istituti come l’usufrutto o l’affitto di azienda.
Le stesse regole si applicano quando il trasferimento riguarda soltanto una parte dell’impresa (il c.d. ramo d’azienda), inteso dall’art. 2112 c.c. come un’articolazione dell’attività economica organizzata dotata di autonomia funzionale.
Secondo la giurisprudenza prevalente, rientra nel concetto di trasferimento d’azienda ogni operazione straordinaria che comporti un mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, purché questa conservi la propria identità nel passaggio.
In particolare, le ipotesi che configurano il trasferimento d’azienda sono:
- La cessione contrattuale;
- La fusione societaria;
- L’usufrutto;
- L’affitto d’azienda;
- L’incorporazione;
- La scissione;
- La successione ereditaria
Effetti sui rapporti di lavoro
La normativa ha inteso salvaguardare i diritti dei lavoratori dipendenti dell’azienda dagli eventuali effetti negativi connessi al trasferimento d’azienda.
In questi casi, infatti, il rapporto di lavoro prosegue con il cessionario ed il lavoratore mantiene integralmente i diritti maturati.
Nello specifico:
- L’anzianità di servizio, gli scatti retributivi e i diritti connessi alle mansioni svolte fino alla data del trasferimento sono conservati senza interruzioni;
- Cedente e cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti di lavoro esistenti al momento del trasferimento; il lavoratore può tuttavia liberare il cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto in sede protetta;
- La responsabilità per l’intero trattamento di fine rapporto (TFR) fa capo al cessionario, fermo restando che il cedente è tenuto a corrispondere le quote di TFR maturate fino alla data del trasferimento;
- Il cessionario deve applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali (CCNL) vigenti alla data del trasferimento sino alla loro scadenza, salvo sostituzione con altri CCNL di pari livello applicabili all’impresa del cessionario, restando comunque intatti i cosiddetti diritti quesiti del lavoratore.
Casi particolari
Quando nelle imprese coinvolte dal trasferimento d’azienda sono occupati più di 15 dipendenti, si applica la procedura specifica ex art. 47 L. 428/90, che impone comunicazioni preventive a RSU/RSA e ai sindacati di categoria e un eventuale esame congiunto entro termini perentori nelle fusioni e nei trasferimenti che comportano passaggi di personale.
A livello generale, nelle imprese con almeno 50 dipendenti opera inoltre l’obbligo di informazione e consultazione di derivazione europea, che copre le decisioni idonee a incidere in modo rilevante sull’organizzazione del lavoro o sui contratti.
Risoluzione del rapporto di lavoro in caso di trasferimento d’azienda
Il trasferimento d’azienda salvaguarda l’occupazione: il recesso non può essere giustificato dal solo passaggio di titolarità e, se lo è, l’atto è illegittimo con prosecuzione del rapporto in capo al cessionario.
Restano possibili licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o collettivi solo se ancorati a reali esigenze organizzative e con pieno rispetto delle procedure.
Nei casi di licenziamento del cedente con immediata riassunzione, l’onere di provare l’assenza di intento elusivo grava sul datore, altrimenti il rapporto si considera unico.
Il lavoratore può dimettersi per giusta causa entro tre mesi se peggiorano in modo sostanziale le condizioni.
Chi non viene trasferito ha un diritto di precedenza alle assunzioni del cessionario entro un anno o nei maggiori termini contrattuali.
Daniele Rocchi

