Da qualche anno vengono tratteggiati quadri vagamente apocalittici sul sistema pensionistico italiano.
GiĆ nel 2016 si ipotizzava una possibile implosione del sistema tra il 2030 e il 2035 in coincidenza del ritiro dal lavoro attivo della generazione del milione di nati tra il 1964 e il 1965.
A preoccupare sono una coincidenza di fattori: il calo demografico, lāoccupazione minore/di peggior qualitĆ e il costo degli ammortizzatori sociali (ordinari e straordinari).
Tutto, come ĆØ noto, deriva da un antico peccato originale, compiuto da gran parte degli Stati mondiali: il consumo/spreco delle riserve previdenziali. Peccato comprensibile: i soldi si prendono dove si trovano in abbondanza. E, in Italia, si trovavano in due punti: Inps e Cassa Depositi e Prestiti (della seconda – destinazione del risparmio postale – ne riparleremo), per tacer delle accise.
Se in casa hai una cassaforte piena di denaro, non la lasci sigillata andando a chiedere i soldi in prestito, ma ogni tanto la apri e prendi qualche contante. E cosƬ hanno fatto decine di Governi. Coi fondi della previdenza hanno finanziato casse integrazioni, “scivoli”, opere, prestiti e ogni quantāaltro.
In linea strettamente teorica i contributi pensionistici dovrebbero essere conservati Ā in un deposito e restituiti a chi li ha versati nel corso della vita: al netto dellāinflazione dovrebbe essere un sistema chiuso, indipendente da demografia o circostanze esterne. Per questo ā giustamente ā la previdenza ĆØ (e dovrebbe sempre) essere una funzione statale.
Nella pratica invece si sono spesi praticamente tutto. Allora si sono inventati un sistema alternativo, a capitale quasi zero: sintetizzabile nella frase: ācoi contributi di chi lavora adesso ci paghiamo gli assegni dei pensionatiā. Buona idea, se non fosse che i numeri non coincidono piĆ¹. La popolazione italiana, come gran parte di quella benestante mondiale, ĆØ in calo costante. A questo si aggiunga che, con la dismissione dellāindustria e una difficile ricollocazione economica della nazione, i lavori sono oggi piĆ¹ precari e meno retribuiti.
Il risultato ĆØ che le casse sono di fatto vuote/indisponibili e i contributi dei lavoratori attivi bastano sempre meno: Ā la percentuale di pensionati rispetto ai lavoratori ĆØ passata dal 37% del 2016 Ā (1 su 3) ad un impietoso rapporto di 1:1. I dati resi noti dallā Ufficio studi della CGIA a novembre 2023 confrontavano il numero delle pensioni erogate e quello degli occupati. Se in Italia il primo ĆØ pari a 22.772.000 e il secondo ammonta a 23.099.000, nelle regioni del Sud e delle Isole le pensioni pagate ai cittadini sono 7.209.000, mentre i lavoratori attivi sono 6.115.000.
Negli anni si ĆØ quindi pensato di tamponare la situazione con la riforma contributiva (āavrai per quanto hai versatoā e incentivando la previdenza complementare. Anche su questa ultima ci sarebbe molto da dire, ma ĆØ bene si sappia che essendo uno strumento privato basa la sua redditivitĆ sul mercato finanziario ed ĆØ a esso legato nel bene e nel male.
Omettiamo i temi connessi al problema, come lāaumento della spesa sanitaria per la cura delle persone anziane e lo āsbracamentoā della immigrazione per sostenere gli introiti previdenziali; questioni che comporteranno revisioni nella spesa sanitaria e problematiche connesse a una integrazione culturale troppo veloce.
Come dobbiamo quindi interpretare questo quadro? Ć la solita questione del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Sicuramente servono politiche fiscali coraggiose che rendano sconveniente il pagamento āin neroā, ed una di queste sarebbe la piena scaricabilitĆ delle spese sostenute. In attesa di riforme valide, rimane quindi lāanalisi del dato.
Il dato ci dice che la spesa previdenziale annua ĆØ di circa 322 miliardi di euro, una cifra che attualmente vale il 16,2% del PIL e che (fonte Ragioneria generale dello Stato) nel 2040 peserĆ (ottimisticamente, ndr) per il 17%.
Il rischio nel lungo periodo ĆØ che gli assegni mensili si riducano al calare della forza lavoro e che la previdenza integrativa porti solo spiccioli nei portafogli dei pensionati. CosƬ come ĆØ possibile che casse integrazioni e redditi di cittadinanza variamente nominati vadano verso lāazzeramento. Ma il default pensionistico ĆØ (e dovrebbe essere in futuro) solo uno spauracchio: le pensioni continueranno ad essere pagate, magari con qualche correzione di bilancio da fare ogni anno. In questo sta la buona notizia.
Gianmaria Frati